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Avvento delle Ombre - Capitolo 34

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Capitolo 34: La Tempesta Finnica

Era arrivato ore prima in quella arena, i quattro allievi al suo seguito, tutti vivi e pronti a seguirlo, seppur ognuno a modo proprio: Ramsey, devoto e sempre pronto a rispettare gli ordini del proprio maestro, l’unico che si faceva semplicemente chiamare il Discepolo del Toro; Umba, con tutti i propri conflitti, il dolore e la voglia di giustizia che le erano state tolte e per la cui perdita era diventata una delle nere consorelle; Joppa, il più malvagio e sadico fra di loro, una delle Cinque Bestie dell’Isola della Regina Nera, ed infine lei, Sinai, fiera e sicura della propria genia, lei che discende dagli Alchimisti Oscuri che per primi avevano rinnegato Atena, lei, l’unica che ancora viveva, la stessa che, dopo aver deposto il corpo di Cetus Oscuro vicino ai compagni, adesso s’ergeva al suo fianco.
Dinanzi a loro, i tre nemici che aveva trovato nell’Arena dei Tornei di Atene: Degos di Orione, uno dei suoi passati compagni d’addestramento sotto Megatos del Toro, privo delle vestigia dopo lo scontro con Perseo Oscuro, stremato per le due battaglie contro Cefeo e Perseo stessa; Bao Xe della Musca, l’allieva dell’ormai defunto cavaliere dello Scorpione, ferita dalla discepola che lei stessa aveva rinnegato e di cui quel giorno aveva preso la vita ed infine Amara del Triangolo, fra i più potenti cavalieri d’argento, per quel che si diceva, ma adesso ridotto ad un uomo sordo, dopo lo scontro con la Balena Nera e già stremato per le precedenti battaglie cui aveva partecipato.
“Sinai, vai via da qui.”, furono le prime parole che il massiccio uomo fece, dopo aver osservato i tre nemici che si ergevano dinanzi a loro, “Non ho bisogno di te per vendicarmi di queste larve di cavalieri, raggiungi il luogo in cui dovremo incontrarci con gli altri alla fine delle invasioni.”, sentenziò deciso.
“Ma, maestro…”, balbettò appena la giovane guerriera mascherata, “Nessun ma, Sinai! Da te più che da chiunque altro, mi sarei aspettato soddisfazione nel sapersi sollevati da questa battaglia: in fondo non è il futuro delle schiere oscure e del Sestetto nero quello ti interessa di più?”, domandò con un’ombra di sorriso sul volto celato dall’elmo l’uomo.
“Lascia ad Ukko del Toro Oscuro la battaglia e vai! Te lo ordino!”, imperò sicuro il Finnico ed a quelle parole, cui seguì l’esplodere del cosmo del massiccio uomo, la ragazza non ebbe niente da ridire oltre, scattando per allontanarsi dall’Arena dei Tornei.

“Dove pensi di andare?”, domandò subito Degos, scattando per primo in avanti, ma venendo subito travolto dalla tempesta di fulmini generata dal suo passato compagno d’addestramenti, che lo spinse indietro, costringendolo a sollevare le proprie difese, incendiando il caldo cosmo che gli era proprio.
“Cinturon Escarlatta!”, imperò il cavaliere, sollevando il braccio e lasciando che la lingua di fuoco si avvolgesse allo stesso, per poi lanciarsi in avanti, diretta verso la direzione dove la giovane guerriera oscura stava allontanandosi.
“Sei forse cieco? Non è lei che devi temere!”, urlò deciso Ukko, il cui cosmo fulminante circondò il santo d’argento, disperdendo le fiamme della cintura di Orione e travolgendolo.
Fu però lesto Degos nel rianimare il fuoco del proprio attacco, arpionando il terreno e facendo con lo stesso leva per lanciarsi di nuovo alla carica, solo per trovarsi bloccato dall’oscura sagoma del vecchio compagno, che lo bloccò con un violento pugno allo stomaco, sbilanciandolo e gettandolo al suolo, la cintura ormai spenta in un’ombra di terreno bruciato.
Non ebbe però il tempo, il Toro d’Oro Nero di assestare un altro attacco contro il cavaliere di Orione, poiché rapida e veloce una sagoma saltò contro di lui, raggiungendolo alle spalle, “Volo di Myia!”, esclamò la voce, mentre la sagoma di Bao Xe cercava di colpirlo, ma una scarica elettrica circondava il guerriero oscuro, una scarica che respinse indietro la sacerdotessa di Atene, sbilanciandola, costringendola ad un’abile capriola, mentre si riportava in piedi, osservando, dietro la fredda maschera d’argento, il nemico.
“I fulmini mi proteggono e mi seguono sempre! Io non sono più lo sciocco ragazzino che credeva in una divinità indegna del proprio rispetto, io sono diventato il Portatore di Fulmini! Sono diventato la Tempesta Finnica!”, urlò il nero gigante aprendo le mani e lasciando che la potenza di quelle scariche corresse contro la sacerdotessa della Musca, che veloce si dovette muovere per cercare di evitare la potenza di quel nuovo attacco, una velocità che, però, non risultò sufficiente dinanzi a quella dei fulmini stessi, che la investì, spingendola indietro, bruciando la pelle e danneggiando le vestigia.
Un terzo cosmo, però, si era già aperto a difendere i compagni, un cosmo silenzioso e pacato, ma dalla vastità innegabile, “Cavaliere del Triangolo, sordo e muto adesso, ma forse anche tu cieco quanto Degos, se ancora non capisci che ogni tentativo di vittoria è futile! Accetta la fine che ti offro e, forse, le sofferenze vi saranno risparmiate, in piccola parte, ma risparmiate!”, imperò il nero nemico, liberando la furia della tempesta ancora una volta e lasciando che questa corresse contro Amara, il quale aprì le braccia, disegnando una forma nell’aere.
“Trigono Pneumatos!”, invocò il cavaliere, sollevando le proprie difese e cercando con le stesse di resistere alla tempesta che stava per travolgerlo, “Tutto inutile!”, urlò in risposta il nero nemico, costringendo il santo d’argento ad indietreggiare, mentre la sua stessa barriera veniva frantumata, colpendolo con violenza e gettandolo al suolo come i suoi pari.
“Restate al suolo, sciocchi seguaci di una divinità, e la morte vi raggiungerà in fretta e senza ulteriore dolore!”, rise Ukko alla vista dei tre nemici a terra, ma con un’unica risposta, li vide alzarsi, i cosmi che si accendevano, caldi e decisi, pronti alla lotta come i santi da cui scaturivano, mentre i loro sguardi si volgevano verso il comune avversario.
“Non avrai facile vittoria su di noi, Bjorn!”, furono le prime parole di Degos, rialzandosi in piedi, il cosmo fiammeggiante che lo circondava, “Hai perduto la fede in Atena e distrutto quella di altre giovani vite, ma più di questo hai dannato per sempre te stesso alleandoti con i ladri di divinità che puntano a distruggere ciò in cui un tempo credevi, quella che per te, come per molti altri fra noi, era l’unica casa, uccidendo le persone a noi care!”, lo accusò Bao Xe, il venefico cosmo che brillava attorno a lei.
“La tua rabbia è palpabile quanto la furia del cosmo che emani, Ladro di Divinità, ma sotto quella tempesta si nasconde la vera origine delle tue scelte: il dolore, il dolore per essere stato scacciato, il dolore per la perdita degli allievi che consideravi la nuova famiglia dopo quella che avevi perso, un dolore che adesso terminerà per sempre, lì dove è iniziato.”, lo rassicurò la voce emessa dal cosmo di Amara.
“Vero, tutto è iniziato qui!”, rise Ukko, “Ricordi quel giorno, Degos?”, domandò volgendosi verso il cavaliere di Orione, incurante dei cosmi dei suoi tre nemici, “Ricordi come tutti quanti avete dimostrato le vostre virtù per ordine del Sommo Sacerdote? Edward, vinse per primo le vestigia di Cefeo; poi fosti tu ad ottenere quelle che la mia allieva ti ha distrutto, quindi toccò ad Abar ottenere quelle di Perseo e, dopo, fui io a combattere per l’armatura dell’Ofiuco!”, rammentò ed i ricordi parvero invadere sia la mente del nero nemico, sia quella del suo passato compagno d’addestramenti.

Ormai la giornata stava volgendo verso il suo termine in quella lunga serie di scontri che avevano visto Degos, Edward ed Abar diventare cavalieri; il momento di Bjorn per dimostrarsi un degno discepolo del nobile Megatos.
Come sempre, fu il Sommo Sacerdote a parlare per primo: “Le vestigia dell’Ofiuco, secondo alcuni maledette, secondo altri ben più di valore di quelle degli altri cavalieri d’argento; quasi un’armatura d’oro, per alcune vecchie leggende.
Un’armatura che rappresenta colui che domina i serpenti, come anche gli arabi chiamano la stella primaria della costellazione stessa; una costellazione che narra la storia di Asclepio, il più grande guaritore di tutta la Grecia.”, ricordò il Primo Oracolo della dea.
In sette si erano presentati per quelle vestigia, otto guerrieri fra i più forti e coraggiosi che si dicesse fossero presenti ad Atene.
“Come Asclepio aveva avuto dalla dea Atena il dono di condividere il proprio sangue con quello delle gorgoni, così da poter curare, se lo stesso sgorgava dal suo fianco destro, o uccidere, se proveniente dal sinistro, così voi dovrete fare altrettanto, combattendo a coppie: colui che avrà la mano destra libera, dovrà proteggere, chi avrà la mano sinistra libera, attaccare.
Solo quattro di voi resteranno in piedi dopo questa battaglia.”, sentenziò il Sommo Sacerdote e gli scontri ebbero inizio.
Bjorn combatté con coraggio: aveva ricevuto il braccio destro libero come posizione e con i propri fulmini aveva sollevato delle pronte difese per se e per il giovane cavaliere che con lui stava combattendo, uno svelto guerriero dalle mani affilate e capaci di sferrare aghi di pura energia cosmica, un giovane che al pari di Bao Xe aveva seguito l’esempio di Ascanus, prima della sacerdotessa mongola arrivasse ad Atene, Euron il suo nome.
Assieme vinsero altri due aspiranti cavalieri senza eccessivi problemi.
Quando quella battaglia si concluse, fu di nuovo il Sommo Sacerdote a parlare: “La stella Alpha della costellazione dell’Ofiuco è chiamata Ras Alhague, la Testa che raccoglie il Serpente e come questa, anche voi dovrete riuscire a trovare e catturare dei particolari serpenti che vi saranno lanciati contro: gli stessi che i vostri avversari scateneranno! Attaccate portando dal suolo i vostri colpi e coloro che non riusciranno a difendersi e saranno sconfitti, perderanno la possibilità di sfidarsi per l’armatura d’argento.”, spiegò.
I quattro si erano osservati in silenzio, ricordavano gli allievi di Megatos, a lungo il silenzio era continuato, finché Bjorn ed un altro dei giovani sferrarono degli attacchi contro il terreno: una duplice esplosione, fulmini e fuoco si scatenò fra i due avversari, scuotendo lo spazio fra i quattro e dando modo, all’allievo dello Scorpione, di sferrare un attacco contro il quarto degli aspiranti cavalieri, che fu colpito e gettato al suolo, con una gamba inutilizzabile, urlante di dolore.
“Ti voglio sfidare solo nell’ultimo scontro, Bjorn!”, esclamò Euron, voltandosi verso il terzo rimasto per poi effettuare di nuovo il proprio attacco, cui le fiamme dell’avversario risposero, bloccandolo.
Grande fu lo stupore sul volto dell’allievo dello Scorpione quando una violenta scarica elettrica lo investì da sotto le piante dei piedi, fulminandolo e lasciandolo a terra morente.
“Non ti ho mai considerato un compagno o un rivale.”, tagliò corto il finnico allievo di Megatos, consapevole che un confronto diretto con il coraggio Euron sarebbe stato un pericolo per la sua investitura, per quello non batté ciglio quando vide il discepolo di Ascanus morire.
Altri erano già morti in quella lunga giornata ed i bisbigli fra gli spettatori furono sommessi per quella morte, prima che Sion riprendesse la parola, dando il via allo scontro finale fra i due aspiranti all’armatura dell’Ofiuco.
Lo scontro fu breve, Bjorn fu spietato e veloce nel colpire e finire il nemico con tutta la propria potenza, distruggendone il corpo con le scariche elettriche che sapeva scatenare, travolgendolo e lasciandolo al suolo, senza vita, un nessuno di cui Ukko non ricordava nemmeno il nome.
Quello che, però, l’attuale Toro Nero ben ricordava erano gli sguardi dei compagni e del maestro, mentre saliva la breve scalinata, inginocchiandosi dinanzi allo scrigno dell’Ofiuco: “Richiama a te le vestigia che hai guadagnato, cavaliere, risveglia il tuo cosmo e prendi il posto che ti spetta fra i santi di Atena.”, lo invitò il Sommo Oracolo.
Il giovane e massiccio apprendista lasciò esplodere il fulminante cosmo che gli era proprio, abbracciando lo scrigno d’argento con lo stesso, per lunghi, interminabili secondi, le scariche elettriche circondarono la custodia dell’Ofiuco, ma nessuna risposta giunse dalla stessa.
Fu solo dopo un minuto, o forse più, che Bjorn alzò il capo: “Maestro, Sommo Sacerdote, non capisco… l’armatura è mia!”, esclamò con il viso confuso, “No, ragazzo, l’armatura è di Atena ed è la dea a scegliere quale giovane deve indossarla, seguendo il disegno delle stelle e risvegliandone il potere.”, rispose con voce triste il suo maestro, avanzando e poggiandogli una mano sulla spalla destra.
“Alzati, Bjorn, non è l’Ofiuco l’armatura che devi indossare per onorare la Giustizia. È stato un mio errore credere che fosse quello il tuo destino, di certo un altro egualmente nobile ti aspetta.”, propose gentilmente Megatos, aiutando il ragazzo ad alzarsi.
Per giorni solo la confusione ed il dolore riempirono la mente del giovane discepolo, poi tutto ciò mutò in odio, rabbia e comprensione: Atena lo aveva rifiutato!
La dea della Giustizia non era poi così giusta!
Lui aveva sudato, pianto e perso sangue negli anni di addestramento, aveva combattuto, ferito ed ucciso nell’Arena dei Tornei quel giorno ed ora la dea lo rifiutava? Non gli concedeva ciò che aveva meritato? Non lo avrebbe accettato.
Fu con quella nuova determinazione nel cuore che Bjorn, discepolo di Megatos, abbandonò Atene, senza salutare il maestro ed i compagni ormai divenuti cavalieri, pronto a cercare un modo per ottenere vera giustizia.

“Tutto è iniziato proprio in questa stessa Arena!”, ripeté l’oscuro nemico: il luogo dove adesso Ukko del Toro Nero si ergeva, pronto ad uccidere i tre cavalieri d’argento dinanzi a lui.
“Qui Bjorn ha visto i propri compagni ottenere l’armatura, mentre a lui tale onore veniva negato!”, esclamò osservando Degos di Orione.
“Qui Bjorn ha ucciso Euron, il primo allievo dell’ormai defunto Ascanus dello Scorpione per ottenere le vestigia che gli furono negate!”, aggiunse, volgendosi verso Bao Xe della Musca.
“Qui Bjorn ha compreso che la vera natura di Atena: un’ipocrita ed un’ingrata!”, ruggì contro Amara del Triangolo, sollevando poi il braccio destro, che sembrò caricarsi d’energia elettrica.
“Quella posizione…”, balbettò il discepolo di Megatos riconoscendo la posa del vecchio compagno, “Esatto! Come discepolo ed aspirante alle vestigia dell’Ofiuco, Bjorn conosceva questa tecnica e dopo aver abbandonato questo luogo, ho appreso come usarla!”, spiegò soddisfatto Ukko, “Ma attenti: non è dal Morso del Cobra Incantatore che dovrete difendervi, bensì da quello del Fulmine Finnico! Ammirate il mio colpo segreto! Ecco il Purema Myrsky!”, tuonò il nero guerriero abbassando il braccio e liberando una serie di fauci di saette che calavano selvagge addosso ai tre cavalieri d’argento, investendoli.

***

Rapidi non lo erano di certo: tre mocciosi malconci, con le vestigia danneggiate in modo così drastico da rendere impossibile riconoscerle, paragonandole alle nere controparti.
Una cosa era certa: erano vestigia di bronzo ed i loro custodi, due ragazzini ed una fanciulla mascherata, erano sopravvissuti a stento a qualsiasi battaglia avessero combattuto fino a quel momento.
Tutte queste informazioni erano facilmente deducibili dal loro aspetto malconcio, così come era facile capire cosa essi erano: prede, seppur molto più infime di quelle che stava, fino a poco prima, Sedna dell’Acquario Oscuro stava inseguendo.
Se non le fosse stato ordinato diversamente, l’Inuit avrebbe continuato ad inseguire i tre seguaci di divinità che erano fuggiti dalla battaglia in Siberia, ma, non appena arrivata ad Atene, mentre ancora osservava i diversi percorsi presi dal cavaliere d’oro e dai suoi due discepoli, una voce la raggiunse, attraverso il cosmo, quella di uno dei suoi confratelli: avrebbe volentieri trasgredito quella richiesta, ma persino lei sapeva bene come il fallimento dell’attacco ad Atene non era contemplato da Giano e Gemini Oscuro era l’unico essere che temeva nel creato, non avrebbe fatto alcunché per irritarlo.

Sagitta Nera, Scutum Oscuro e Puppis Nera: li avevano affrontati tutti, uno dopo l’altro, assieme a compagni che erano caduti in quelle lunghe battaglie ed ad altri che erano rimasti indietro, per lasciarli fuggire, eppure, i tre cavalieri di bronzo arrancavano dubbiosi.
Feriti di certo, ma dubbiosi, nel sentire l’esplodere dei cosmi dei tre cavalieri d’argento contro l’oscura guerriera di Puppis che tanto facilmente aveva avuto ragione di loro.
“Dovremmo tornare… aiutarli.”, sussurrò il primo di loro, fermandosi, poggiando la schiena alla parete di roccia poco lontano, affannato, Talos del Leone Minore osservò i due compagni, dopo quelle poche parole.
“Anche se tornassimo? Siamo feriti, le vestigia distrutte, cosa possiamo fare? Ayra e Hans sono caduti ed ora è rimasta la più terribile di tutti i nemici, oltre al guerriero d’oro nero!”, analizzò traumatizzata Mirea della Colomba, sostenuta dal parigrado.
“Esatto, bambina, cosa mai potreste fare!”, urlò allora una voce, prima che Darius della Lince potesse dire alcunché, costringendo il cavaliere di bronzo e la sacerdotessa a scattare di lato, o barcollare più correttamente, mentre la roccia sotto di loro esplodeva in un’ondata d’acqua, da cui discese una figura dalle vestigia d’oro sporca, orrenda agli occhi dei tre santi di Atena, per il viso e le mani deturpate, mentre già ghignava contro le giovani vittime.
“Sarete ben poca soddisfazione per me, insetti, ma vi ucciderò lo stesso, poiché già troppe prede sono sfuggite in una sola giornata a Sedna dell’Acquario Oscuro!”, imperò, pronta a massacrare i cavalieri.

***

Ukko del Toro Nero si guardò intorno: il Purema Myrsky aveva travolto spietatamente i tre seguaci di Atena, ma ancora una volta gli sciocchi si rialzavano, una soddisfazione perversa riempì l’animo del Finnico, pronto a combattere tanto e più dei nemici nell’arena.
“Ancora combattete? Vane le vostre azioni, vana la resistenza, eppure ancora combattete! Non avete compreso che la Tempesta non può essere contenuta? Che la furia del Portatore Finnico non potrà da voi essere sbaragliata? Ebbene, se tu, caro Degos, vuoi ancora provare ad attaccarmi, ebbene, il Morso del Fulmine ti divorerà!”, esclamò soddisfatto Ukko, volgendosi verso il passato compagno d’addestramenti.
“Fatevi avanti tutti quanti, insulsi seguaci di Atena e farete la giusta fine, divorati dal Fulmine Finnico che so scatenare!”, tuonò ancora, lasciando esplodere scariche elettriche attorno a se, l’Homo finnico.
“Bjorn, vecchio compagno, mi duole sentire queste tue parole: se credi che le nostre azioni siano vane, allora veramente non hai appreso niente delle lezioni che il grande Megatos ci diede anni fa.”, lo ammonì il cavaliere di Orione, “Se questa è la verità, allora, probabilmente, anche per questo motivo, allora, Atena non ti riconobbe come difensore della Giustizia.”, ipotizzò con voce stanca, ma il cosmo ancora caldo e pronto alla lotta.
“Atena non mi riconobbe come difensore della Giustizia? Questo è successo secondo te, secondo tutti voi?”, ruggì il nero nemico, lasciando esplodere il proprio potere, “Allora lasciate che la mia furia vi riconosca come difensori della Giustizia!”, urlò, scatenando di nuovo il Purema Myrsky.
L’attacco si scatenò di nuovo, ma stavolta Amara non rimase immobile ad attendere, bensì sollevò nuovamente le difese del Trigono Pneumatos, cercando di difendere se stesso ed i compagni, subito seguito dal cavaliere di Orione, che ricoprì l’area all’interno del Triangolo di energia con il muro di fiamme generato dalla Cintura di Orione.
“Non basterà!”, ruggì a quel punto il guerriero del Toro Nero, intensificando la furia del proprio attacco, ma, proprio quando stava per colpire, qualcosa s’intromise fra le due forze, qualcosa che ridusse, seppur di poco, il potere del Morso del Fulmine, permettendo così alle energie combinate di Degos ed Amara di reggere all’assalto e dando, alla fine dello stesso, un’apertura all’attacco che subito ne seguì.
“Volo di Myia!”, invocò Bao Xe, lanciandosi alla carica e colpendo con un secco attacco proprio in uno degli angoli più scoperti dell’armatura nera, lì dove le vestigia meno proteggevano, poco al di sotto del braccio ancora sollevato nell’azione di attaccare, del Toro Oscuro.
Una barriera elettrica, però, circondava ancora il nero nemico, proteggendolo e paralizzando al qual tempo la corsa della sacerdotessa d’argento.
“Brazo del Guerrero!”, esclamò allora la voce di Degos, liberando il possente attacco di fuoco, “Trigono Anatoles!”, aggiunse l’emanazione cosmica di Amara, scatenando anche la propria di energia.
Assieme i due attacchi si unirono all’assalto portato dalla guerriera della Musca, riuscendo ad oltrepassare la barriera elettrica, disperdendola e permettendo alla sacerdotessa d’argento di colpire il braccio sinistro del nemico, costringendolo ad indietreggiare ferito.
“Maledetta!”, ruggì Ukko, portandosi la mano alla ferita, “Maledetti tutti voi e la vostra fede!”, continuò, mentre il cosmo attorno a lui tuonava, “Come avete fatto, come? Non può essere stata semplicemente la vostra fede!”, li accusò, guardandosi attorno e volgendo poi lo sguardo poco lontano, “Anzi, so di chi è la colpa!”, imperò, scatenando un nuovo fulmine verso un punto più distante dell’Arena, da cui si allontanò rapido un guerriero, avvicinandosi a Bao Xe, che era atterrata al suolo, dopo il proprio assalto, lontana dagli altri compagni.
“Cetus!”, esclamò stupita la maestra di Dorida, “Cavaliere della Balena!”, lo riconobbe anche Degos, osservando il giovane parigrado con le vestigia danneggiate, seppur in condizioni migliori delle sue e di quelle di Amara, che si ergeva ora al fianco della sacerdotessa della Musca.
“Ben ritrovati, cavalieri. Sono giunto in vostro soccorso su indicazione del mio maestro! Assieme siamo tornati dalla Siberia, dove siamo sopravvissuti allo scontro con un’altra di queste ombre dorate, per volontà di Atena.”, spiegò Leif di Cetus, espandendo il cosmo gelido, lo stesso di cui alcuni cristalli si trovavano ancora al suolo, lì dove gli Anelli del Kolito avevano supportato le difese dei compagni.
“La volontà di Atena?”, ripeté furioso il Finnico, “Una cosa che aborro ed a cui mi ribello, poiché ogni uomo deve scegliersi da se cosa sarà, e nessuno deve costringerci ad un percorso da loro prefissato! Né impedirci di raggiungere i nostri sogni!”, esclamò rabbioso, “Sei stato furbo prima a nasconderti, ma come pensi di difenderti ora dal potere del Purema Myrsky, bamboccio?”, ruggì liberando ancora una volta il potere del suo attacco.
Il Morso della Tempesta corse rapido contro il cavaliere d’argento, ma questi era molto più fresco dei compagni, avendo combattuto un’unica battaglia, per di più nemmeno eccessivamente ardua, contro l’ultima delle Cinque Bestie ed avendone avuto facile ragione.
Fu grazie a tali vantaggi, che il discepolo di Vladmir riuscì a sollevare ancora una volta la difesa del Kolito, portando i gelidi cerchi fra stesso ed il nemico, prima di spiccare un agile salto che gli permise di evitare la furia restante dell’attacco avversario.
Quello che, però, il cavaliere d’argento non si aspettava, fu l’espandersi del possente attacco nemico: quasi avesse una volontà propria, il violento fulmine, dopo essersi infranto sui cerchi di ghiaccio s’espanse verso l’alto nuovamente, investendo alle spalle il santo di Cetus che stava preparandosi ad attaccare il nero nemico.
Leif, però, resse all’impatto: le vestigia s’incrinarono, sangue sgorgò dalle stesse, ma il cavaliere riuscì ad atterrare al suolo, forse malamente, ma non perse l’attenzione sull’oscuro avversario, mentre già dei nuovi cerchi di ghiaccio si generavano attorno allo stesso.
“Anelli di ghiaccio, colpite!”, imperò il santo d’argento, scagliando i freddi dischi contro Ukko, il quale, però, sorrise beffardo, mentre scariche elettriche lo circondavano, distruggendo i gelidi dardi che si lanciavano addosso a lui.
“Una barriera di fulmini.”, valutò Leif, “L’avevo già intravista durante gli stralci di battaglia, mentre mi avvicinavo a tutti voi, ma ora ne sono certo: il tuo cosmo genera una tempesta tutto attorno a te, vero, Nero guerriero?”, incalzò secco il santo di Cetus.
“Sei arrivato tardi, ragazzino, forse è giusto che mi presenti!”, rise divertito il gigantesco avversario, “Ho diversi nomi: per il tuo pari, lì al suolo, ero noto come Bjorn, lo sciocco che credeva in Atena, discepolo di Megatos, cavaliere d’oro; per gli altri fuggitivi dell’Isola della Regina Nera, sono il Toro Oscuro; ma per gli Homines, i miei confratelli, sono il Finnico. E, su tutto ciò, per te e gli altri idioti seguaci di Atena, sono Ukko, il Portatore della Tempesta!”, imperò, scatenando il proprio cosmo.
Non si fece però intimorire il cavaliere d’argento, che subito richiamò nuovi anelli di ghiaccio per circondare il corpo del massiccio avversario, “Tutto inutile, piccolo cavaliere!”, affermò sicuro Ukko, “La fredda aria che puoi alimentare non bloccherà di certo la furia dei miei fulmini!”, assicurò.
“Questo probabilmente è vero, Ladro di Divinità, ma utilizzare di continuo la barriera di certo t’impedisce di richiamare la potenza dell’attacco con cui hai bersagliato sia me, sia i miei stanchi compagni d’arme.”, osservò di rimando Leif, “Quindi, ci troviamo in una situazione di stallo!”, concluse.
“Stallo?”, ripeté ridendo il Finnico, “Giovane sciocco, permettimi di mostrarti come l’attacco del Portatore di Tempeste non sia da meno delle sue difese, se di questo sembravi dubitare!”, urlò con rabbia, sollevando il braccio e scatenando di nuovo il Purema Myrsky.

Il Morso del Fulmine corse contro il cavaliere d’argento, distruggendo gli anelli di ghiaccio che circondavano il Toro Nero, ma poco prima di raggiungere il proprio bersaglio, due voci echeggiarono nell’ambiente: “Trigono Pneumatos!”, “Cinturon Escarlata!”, voci a cui si unì ancora quella di Leif, invocando nuovamente i poteri del Kolito.
Le tre difese ressero appena alla potenza nemica, permettendo alle vestigia della Balena di assorbire una minima parte di quel potere, ma, soprattutto, lasciando Ukko completamente impreparato ad un’altra voce, che tuonò alle sue spalle: “Diptera Venefica!”.
Bao Xe arrivò alle spalle del nemico, incrociando le braccia attorno al collo di lui e stringendo le gambe al tronco, mentre il venefico potere di cui era portatrice si liberava attorno al volto del Finnico, stordendolo leggermente, mentre già il nero guerriero iniziava a circondare il proprio corpo con nuove scariche elettriche.
Il dolore, però, non fermò la sacerdotessa guerriero, né impedì a Leif di scattare egli stesso in avanti, stringendo deciso le mani sulle gambe del gigantesco avversario, iniziando ad abbassare la temperatura sulle stesse, incrinando delle vestigia che, per quanto vagamente simili a quelle dei Dodici Custodi ultimi, di certo non ne avevano la medesima resistenza.
“Sciocchi!”, riuscì appena a ruggire il nero avversario, lasciando esplodere il cosmo fulminante e travolgendo ambedue i cavalieri d’Atena, spingendoli indietro e lasciandoli cadere al suolo, le vestigia sempre più danneggiate.
“Sciocchi forse siamo, ma non per questo non riusciremo a vincerti…”, sussurrò nel dolore Bao Xe, mentre già due cosmi esplodevano dai fianchi del nero guerriero, costringendo il Finnico a guardarsi attorno, per scoprire che le gambe non riuscivano a muoversi.
“Pensavi davvero che ci saremmo lanciati alla cieca per attaccarti?”, domandò Leif, alzandosi in piedi a fatica, “Il veleno di Musca, il gelo nelle gambe, il freddo alone degli anelli di ghiaccio, la ferita impartitati prima da Bao Xe.”, elencò il cavaliere d’argento, “Abbiamo stordito i tuoi sensi a sufficienza perché il resto dei nostri attacchi potessero andare a segno!”, concluse, pronto anch’egli a colpire, come l’allieva di Ascanus alle spalle del nemico.
“Brazo del Guerrero!”, invocò Degos di Orione, sferrando l’incandescente diretto dal fianco sinistro del nemico, “Trigono Anatoles!”, aggiunse dal lato opposto l’emanazione cosmica di Amara del Triangolo; “Aurora Ice Whirl!”, continuò Leif di Cetus dinanzi al nero avversario; “Nova Muscae!”, concluse decisa Bao Xe della Musca.
“Pensate di poter vincere con questi piccoli trucchi? Che le sortite senza senso di due di voi possano darmi fastidi tali da rendermi un bersaglio facile da sconfiggere? Poveri sciocchi!”, urlò deciso l’Homo Finnico, reggendo il confronto con quei quattro cosmi, facendo uso della barriera di fulmini per difendersi.
La barriera di fulmini, però, non resistette all’impeto dei quattro attacchi, disperdendosi e lasciando che le forze riunite dei cavalieri sollevassero da terra il comune nemico, spingendolo verso l’alto e lasciandolo poi ricadere al suolo: le vestigia danneggiate visibilmente, ma non ancora sconfitto.
“Complimenti, seguaci di Atena, alla fine avete portato davvero a segno un attacco degno di questo nome! Ma permettetemi adesso di fare altrettanto!”, imperò sicuro il Finnico, malgrado il sangue che scivolava adesso via dal suo stesso corpo.
Le braccia dell’uomo si portarono in avanti, mentre un cosmo ricolmo di elettricità statica lo circondava, “Di certo, Degos, ricorderai questa posa!”, rise divertito Ukko, “Proprio su come fare mio il colpo sacro del maestro di Bjorn ho lavorato, non appena giunto sull’Isola della Regina Nera ed ottenuto queste vestigia.”, spiegò con baldanza, “Ed ora, cavalieri, preparatevi, poiché ciò che scatenerò, sarà l’inizio di una nuova tempesta su questa arena, l’ultima che vedrete nelle vostre vite!”, li minacciò sicuro, pronto a continuare lo scontro.
Lo scontro non era ancora concluso nell’Arena dei Tornei di Atene.

Homines 18: Il Norreno

La cintura d’assedio intorno alla Città appariva invalicabile: soldati, catapulte, scorpioni, ogni sorta d’arma d’assedio e, poco più indietro, tende dove gli uomini potevano riposare.
Il bosco e la neve davano un aspetto forse meno tetro a quella cintura di soldati ed armi, ma il loro numero ed i cadaveri distribuiti fra la Sacra città e le tende degli assedianti, rivelavano la cruda verità di quella guerra che sembrava andare avanti da diversi giorni, se non settimane.
In una delle tende, la più grande di tutte, su cui sventolava il vessillo di un serpente bianco ed azzurro, un massiccio uomo era appena entrato, portando sulle spalle un cervo, ucciso con una freccia in piena fronte.
L’individuo depositò il corpo senza vita su un tavolo e prese dalla propria cintura un coltello, iniziando a lavorare con l’arma attraverso la pelle con spietata determinazione.
“Cosa ti ha fatto quel povero animaletto?”, rise d’un tratto una voce alle spalle dell’uomo, facendolo voltare, sporco di sangue e con un freddo e possente cosmo a circondarlo.
Il viso del cacciatore era deformato in un ghigno selvaggio, finché non riconobbe l’altro e quasi gli sorrise con noia, “Cosa ci fai qui, Megrez? Dopo tutto questo tempo ti è tornata voglia di casa?”, domandò il gigante.
“Megrez?”, ripeté l’intruso, seduto comodamente, versandosi un bicchiere di vino, “Hirihihihi! Sono tanto un Megrez quanto tu sei ancora un Phecda, vecchio mio!”, aggiunse divertito, ricevendo un annoiato cenno d’assenso dall’altro.
“Allora cosa ti porta qui, ai confini esterni di Asgard, Laufey?”, incalzò ancora il cacciatore, “Te lo avevo già detto quando ci siamo incontrati l’ultima volta, Ymir: Laufey non è più il mio nome, ora sono Loki!”, esclamò l’altro, sollevando il proprio bicchiere, “Un Homo nuovo, se vuoi! Sono cambiato e cerco sempre di supportare il Cambiamento, l’unica vera divinità che io veneri!”, spiegò pacatamente.
“Hai preso il nome del Fabbro di Menzogne, già lo sapevo, Laufey, ma cosa ci fai qui?”, domandò di nuovo l’uomo chiamato Ymir, “Così mi offendi, vecchio amico! In fondo l’ultima volta ti ho offerto delle vestigia per gli altri esiliati e mercenari che hai riunito al comando del tuo esercito, o no?”, incalzò l’altro con un sorriso quasi offeso, “A proposito: come va la tua piccola guerra? Il buon Re di Asgard ha già rinunciato al governo? Immagino di no. Hirihihihi!”, rise l’Homo.
“No, sembra poco concorde nel rinunciare al trono ed alla vita… oltre che diffidente nei miei confronti.”, rise di rimando il massiccio guerriero, “Chissà come mai? In fondo hai solo ucciso tuo fratello per ottenere le vestigia di Phecda e tentato un colpo di stato quando quelle furono, invece, affidate a tuo nipote, tuttora al servizio di Asgard.”, ricordò Loki.
“Una storia che ci accomuna… in fondo anche tu hai portato alla morte di tuo fratello, per poi vedere le vestigia di Megres indossate da tua sorella.”, ribatté l’altro, “Solo che, dopo, hai anche causato la morte del prode Balder di Alcor, il più amato dei guerrieri del Sacro Regno!”, aggiunse, sollevando il coltello con fare scherzoso verso il compagno.
“E tu mi hai aiutato accecando suo fratello, l’attualmente invalido cavaliere di Mizar.”, continuò l’Homo, offrendo un bicchiere di vino all’altro, “Che bella cosa i ricordi, non è vero?”, chiese ancora, sollevando il proprio.
Sorseggiò il vino in silenzio per qualche attimo Loki, prima di riprendere a parlare: “Per quanto, comunque, i ricordi siano piacevoli, non mi trovo qui per questo: ho una nuova offerta da farti, vecchio amico.
Una proposta che potrà permetterti di porre fine a questa guerra con una tua vittoria.”, suggerì mellifluo.
“Sentiamo.”, rispose vagamente il gigante, ma l’altro leggeva il desiderio nei suoi occhi, “La mia gente ha da qualche giorno scatenato un susseguirsi di guerre per il mondo, di certo anche qui, ai confini più Settentrionali di Midgard, li avrete sentiti.”, esordì Loki, ricevendo un cenno d’assenso dall’altro.
“Giusto oggi un cospicuo gruppo di evasi dalle nere vestigia al nostro servizio sta invadendo ed attaccando schiere di nostri nemici e, ho proposto, data la nostra collaborazione già dimostratasi ottimale, ai miei compagni d’inviare chiunque dei nostri Black Saints sopravvivesse qui, ad aiutare i tuoi… come vi chiamate, Jotun?”, continuò con fare sicuro, “Che ne dici, Ymir, vuoi nuovi soldati che ti permettano di concludere prima e con minori perdite la tua guerra? In fondo, hai solo 9 guerrieri con armature al tuo servizio, oltre ad un intero esercito di soldatucoli da sacrificare, eppure i difensori di Asgard hanno saputo tenervi a freno, anche se in inferiorità, considerando i due morti, gli inesperti ed il traditore che si trova fra le loro file.”, ricordò ancora l’Homo.
“Interessante proposta, ma cosa vuoi in cambio?”, ribatté subito il massiccio comandante dei ribelli di Asgard, “Una cosa da poco… tempo perché due dei miei confratelli, così come ci definiamo, possano compiere un rituale qui, nei pressi del tuo campo. Basteranno uno o due giorni al massimo.”, spiegò pacatamente colui che un tempo si chiamava Laufey.
“Confratelli? Sanno quello che hai fatto a tuo fratello maggiore e quello che è avvenuto fra te e tua sorella? Non penso che tu sia un uomo molto famigliare…”, lo schernì Ymir.
“Si potrebbe dire lo stesso di te, vecchio mio: hai ucciso tuo fratello e portato discordia fra i suoi figli, tanto che il maggiore è tuo nemico, nelle schiere di Asgard, mentre la minore è qui, tua fedele seguace e servitrice. Hirihihihi!”, ricordò di getto Loki.
Il massiccio interlocutore sorrise a quelle parole: “Accetto il tuo aiuto, vecchio mio! Mandami questo tuo esercito nero, che si unisca ai miei giganti ed insieme distruggeremo il regno di Vidarr di Polaris!”, esclamò lieto.

Rideva fra se l’Homo nel vedere l’amico così sicuro: lo avrebbe usato, avrebbe cambiato il corso degli eventi nella sua terra natia, non ci sarebbe stato più celebrante, poiché, entro pochi giorni, non ci sarebbero stati più Asi o Vani da celebrare! Solo uomini!
Lui avrebbe portato il Cambiamento nelle sue terre natie, lui, Loki, fra gli Homines conosciuto come il Norreno!
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